Qualche giorno fa è stato pubblicato un bell’articolo di Antonio Menna che in poco tempo ha fatto il giro della rete, diventando un vero e proprio caso. L’articolo riscrive la storia di Steve Jobs, ambientandola nella provincia di Napoli e ripercorrendone ogni tappa in chiave negativa. Partendo da un garage non a norma, passando per mazzette e minacce della camorra, la triste conclusione a cui giunge Menna è che se Steve Jobs fosse nato in provincia di Napoli invece che in California la Apple non sarebbe mai stata fondata, e lui sarebbe finito a fare il garagista.
La prima volta che ho letto quest’articolo, sull’onda dell’emotività, non ho potuto fare a meno di essere d’accordo con l’autore, e di provare una certa rabbia mista ad invidia per i miei coetanei nati e cresciuti in altre parti del mondo, la cui ascesa verso la propria realizzazione professionale e personale non sembra così ardua quanto lo è per noi italiani , soprattutto se meridionali.
Poi l’ho riletto, e mi sono chiesta se il finale tragico fosse davvero così ovvio. E la mia risposta è stata negativa. Mi sono detta che non è giusto destinare un ipotetico Stefano Lavori ad una vita di frustrazione e di sogni accantonati. Che probabilmente Stefano avrebbe trovato la forza di andare avanti, spinto dalla passione, dall’ostinazione, dall’orgoglio, o semplicemente dall’istinto di sopravvivenza. Mi sono detta che non sempre nascere nel luogo sbagliato può fornirci un alibi per rimanere immobili, e che forse non esistono luoghi giusti o sbagliati, né vite semplici o complicate, ma solo sogni per i quali vale la pena vivere e lottare, a prescindere dalle circostanze.
Mi piace pensare che se Steve Jobs fosse nato in provincia di Napoli ce l’avrebbe fatta comunque, e l’iPod mi sarebbe costato di meno.
ottobre 13, 2011
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